Damiana Patrimia 30/01/2019
Non lontano da Squinzano, a 15 Km, da Lecce seguendo la
superstrada che porta a Brindisi, si imbocca un viottolo di
campagna che conduce alla chiesa romanica di S. Maria di
Cerrate, cosiddetta poiché ivi sorgeva l’omonimo casale di
cui non vi è più traccia, ma secondo alcuni poiché nel luogo
abbondavano gli alberi di quercia, detti “cerri”. Nel tempo,
poi, si è diffusa la leggenda, illustrata da un affresco, secondo
la quale allorché il Conte Tancredi era a caccia, tra le corna di
una cerva (da cui Cervate o Cerrate) sarebbe apparso il volto
della Vergine che avrebbe fatto desistere il nobile dal colpire
l’animale.
Fondata da Accardo o da Tancredi, entrambi Conti di Lecce,
la chiesa sorse nell’XI-XII secolo nell’area di una più antica
costruzione sacra di rito greco, cioè basiliana, e tale restò
l’annesso convento fino a quando si interruppero i rapporti
con Bisanzio e dichiarò ubbidienza alla Chiesa Cattolica.
Tuttavia il luogo fu sempre tormentato dalle scorrerie turche
e piratesche per cui fu abbandonato dai monaci e divenne una
masseria dopo che nel 1711 venne saccheggiato dai Turchi,
cadendo in uno stato di deplorevole abbandono e rovina, ma
nel 1965 vennero operati gli opportuni restauri soltanto del
tempio, poiché il convento era stato distrutto. Vennero pure
restaurati gli affreschi che conteneva che, distaccati dalle
pareti, ora si ammirano nei locali attigui alla sacra costruzione,
ossia nel Museo delle Tradizioni Popolari salentine.
Sebbene modificata e restaurata nel XVII secolo, la Chiesa
di S. Maria di Cerrate complessivamente però conserva
l’impianto romanico, e del periodo normanno restano ancora
pitture e sculture, nonché iscrizioni greche e latine, di cui
altre se ne aggiunsero successivamente insieme a tanti graffiti
sugli affreschi, usanza barbara, dura a morire, di chi voleva
eternare il proprio nome. Il complesso monastico di Cerrate,
che sin dalla sua fondazione fu dotato di diverse rendite, con
l’abbandono dei Basiliani disperse in diverse commende, a
laici e ad ecclesiastici, il suo notevole patrimonio. Nel 1536 la
badia fu concessa da Clemente VII al cardinale Niccolò Gaddi
che, a sua volta, la cedé alla Santa Casa degli Incurabili di
Napoli, sotto il titolo di S. Maria del Popolo. Anni dopo, nel
1571, il leccese fra’ Bernardino Quarta ottenne la chiesa in
cappellania, assegnata intorno al 1667 dal vescovo Pappacoda
al sacerdote Antonio Tafuri di Trepuzzi, poi come si è detto
il luogo divenne una masseria dopo le rovine e il saccheggio
operato dai Turchi il 27 settembre 1711, incursione che causò
vittime e devastazioni.
La chiesa non ha cupola né arco basilicale e manca del coro.
La nave mediana è larga m. 3,72, le due laterali m. 2,40. La
prima è alta m.11 le seconde m. 6,22. La prima è coperta da
un tetto e due spioventi mentre le navi minori da una tettoia ad
una sola falda. In origine la nave di mezzo era illuminata da
due finestre circolari e da sei finestrine, tre per lato, aperte nei
muri impostati sugli archi. Le navi laterali possedevano altre
piccole finestre, per la più parte in seguito chiuse.
Le tre navi sono scompartite da colonne, cinque per banda,
tre libere e due addossate ai muri perimetrali, e tali colonne
si innalzano sopra un plinto a base quadrata e possiedono
capitelli ornati da foglie di acanto. Su di esse impostano degli
archi acuti compressi, che sorreggono i due muri della navata
centrale.
L’ingresso della chiesa si mostra interessante per le sue
decorazioni esterne che appaiono sull’aggettante archivolto
poggiante su due simbolici animali col muso di maiale, a
loro volta adagiati sui capitelli di due colonne, tra le foglie di
acanto vi sono scolpite due colombe, una per ciascuno di essi.
In origine, però, come avveniva per ogni protiro, gli animali
simbolici erano i leoni, di cui uno mutilo si scorge ancora
nei pressi del portale. In origine questa chiesa possedeva
un solo altare, ma nel XVIII secolo ne furono aggiunti due,
rispettivamente dedicati a S. Oronzo e l’altro alla Vergine di
Cerrate.
Ritornando alle decorazioni esterne, quelle dell’archivolto,
notiamo che sono distribuite in sei piccoli riquadri e
rappresentano:
1) S. Michele Arcangelo, del quale non si sa quando gli
venne staccata la testa. La scultura appare alquanto dura e
geometrizzante;
2) La circoncisione di Gesù Cristo, in vasca con la Vergine
che lo sorregge;
3) La nascita di Gesù, tra la Vergine, il bue e l’asinello;
4) L’adorazione dei Re Magi che in una coppa recano
rispettivamente i loro doni;
5) La visitazione di S. Elisabetta che abbraccia Maria;
6) Un monaco basiliano in preghiera.
Queste sculture, ed è appena il caso di notarlo, risentono
fortemente del gusto bizantino essendo piuttosto tozze e
stilizzate. Le decorazioni del prospetto di questa chiesa le
ritroviamo lungo l’ingresso con una doppia fascia di rilievi
fitomorfi. Indi sull’architrave si apre il timpano che in origine
conteneva una pittura, probabilmente quella della Vergine, di
cui oggi tutto è scomparso, compresa la sinopia.
Nei due corpi laterali del prospetto, due per parte, si scorgono
quattro lesene che in alto si concludono con un fregio
archeggiato che raggiunge l’altezza dell’archivolto. Nel
mezzo di questi due corpi si scorgono due finestrine, una
per lato, mentre tra gli archetti pensili e la cuspide si apre
un oculo, decorato da fiorame, , di cui però sono scomparsi
i raggi lapidei. Lungo le pareti laterali del sacro edificio, in
alto, corre la serie delle arcatelle, mentre verticalmente vi
sono delle lesene tra le quali si aprono sei finestre a feritoia
che illuminano due navi minori, tre per parte.
In origine la chiesa di S. Maria di Cerrate, e non poteva essere
diversamente, era tutta affrescata da pitture bizantine, ma di
queste oggi nulla resta a causa di vari restauri, distruzione
e per l’inclemenza del tempo. Per cui gli affreschi che,
distaccati, restaurati e collocati nell’attiguo Museo delle
Tradizioni Popolari Salentine, risalgono ai primi anni del
secolo XIV e raffigurano: L’Annunciazione, il Transito della
Vergine, S. Giorgio che uccide il drago, un episodio di caccia
di Boemondo e Tancredi che secondo la leggenda si riferisce
al nome della chiesa e del cenobio.